mercoledì 14 dicembre 2016

LA CULTURA DELLA PIETRA. - Maria Scalisi - Iole Nicolai

LA CULTURA DELLA PIETRA.

Maria Scalisi - Iole Nicolai
Un antico proverbio africano dice che Se le formiche si mettono d’accordo, possono spostare un elefante. Noi ci stiamo provando… e siamo determinati a riuscirci…
E’ questo lo spirito con il quale lo scorso 10 dicembre, l’Associazione culturale “Nebrodi”, guidata dall’instancabile ed eclettico Prof. Florena, con il patrocinio del Parco dei Nebrodi e della Banca del Germoplasma (di cui abbiamo già scritto), avvalendosi del contributo organizzativo dell’Associazione che cura questo giornalino, ha messo in campo l’evento “La cultura della pietra”.
Una iniziativa importante per sforzo profuso, caratura scientifica dei relatori, tema trattato e presenza di illustri ospiti. Un evento volto alla valorizzazione del patrimonio culturale e delle tradizioni del Paese di Ucria, che ha fatto del nostro paese un “centro culturale dei Nebrodi per la promozione di quell’identità storico –culturale e scientifica, costruita sulle eccellenze” (così la rassegna stampa sull’evento).
 L’iniziativa si è inserita nell’ambito di un complessivo, più ampio, disegno a mezzo del quale l’associazione promotrice ha inteso segnare il passo per il rilancio di una economia sostenibile, indirizzata al recupero degli elementi distintivi caratterizzanti la nostra cultura e con l’obiettivo di trasmettere alle giovani generazioni il complesso valoriale espressione autentica del nostro territorio, quale “esempio” concreto. Un modello da proiettare nel futuro, attraverso gli strumenti più innovativi, perché – per dirla con le parole del Prof. Florena - “siamo convinti che formazione e sviluppo del territorio siano un binomio imprescindibile per costruire un sano futuro nel segno della sostenibilità e recupero dell’eccellenza” (segnaliamo al riguardo, il significativo ed importante gesto compiuto dalla famiglia Florena che ha ufficializzato, proprio in quella sede, la volontà di istituire e sostenere, anche economicamente, una borsa di studio da destinare ad un giovane ricercatore dell’Università di Palermo, per approfondire lo studio della nocciola dei Nebrodi).
Lo spirito, insomma, è stato quello di suggerire “modelli” sani e propositivi che affondassero le radici, ben salde, nel terreno della tradizione ma che, al contempo, sapessero affrontare le scommesse del futuro.
Insomma, cari lettori…È stata una giornata densa di significati per il nostro Comune e per tutto il territorio. E’ stata davvero una bella giornata!
Alla presenza del Presidente del Parco dei Nebrodi, Giuseppe Antoci, del Magnifico Rettore dell’Università di Palermo, Fabrizio Micari, del “padre” della Banca del Germoplasma di Ucria, il Botanico Francesco Maria Raimondo (che ha concluso i lavori), del dirigente regionale Salvatore Giarratana (che ha illustrato la nascita della Banca del Germoplasma, avendo avuto un ruolo primario nella sua realizzazione), della Professoressa Angela Di Giorgio Marciante (segretario dell’Associazione “Nebrodi”) e naturalmente del Prof. Florena, abbiamo avuto l’occasione di apprendere gli approfondimenti scientifici condotti dal Prof. Valerio Agnesi sulle caratteristiche geologiche del nostro territorio. Ed abbiamo anche potuto inoltrarci nei meandri della nostra cultura locale così fortemente caratterizzata dalla lavorazione della pietra tipica del nostro territorio (un plauso va anche a chi, come Nino Rigoli, nel nostro Paese, coltiva la passione per l’arte della lavorazione della pietra).
Insomma “la cultura della pietra” al centro, tra il passato e futuro, tra tradizione e innovazione, come spunto per proiettarsi in un futuro in cui la tradizione locale trovi la sua necessaria ed opportuna valorizzazione!
La pietra e il lavoro che i “Maestri scalpellini” (ovvero, come l’abilità di un maestro trasforma le pietre in opere d’arte) di Ucria hanno saputo sviluppare, rappresentando, per molto tempo, l’ossatura del contesto economico del paese.
La storia del nostro paese è “cultura della pietra”, poiché si intreccia inesorabilmente con lo sviluppo di questa arte di cui si ravvisano tracce, in ogni angolo di Ucria.
E’ quanto accade in molti luoghi e paesi. L’edilizia riceve spesso caratterizzazione e diversificazione dalle pietre che si utilizzano per costruire le case, sicché l’architettura, traendo qualità ed aspetto del materiale, si lega strettamente al paesaggio.
“La costruzione era in un certo modo un prodotto del suolo nel quale sorgeva. Dall’esame delle costruzioni un naturalista poteva già farsi l’dea dei tipi di roccia affioranti in un dato luogo” – (Veggiani).
La geomorfologia del suolo ucriese mette a disposizione un gran numero di cave di pietre con innumerevoli alternative e possibilità di impiego.
Oggi ad Ucria di cave per estrarre la pietra resta ben poco: se ne intravedono le tracce “ancora leggibili nel paesaggio”, restano i fronti d’attacco, le enormi ferite aperte sui monti, alla base i detriti, le brecce. E le memorie.
C’era pietra e pietra, cava e cava. Anche dal punto di vista qualitativo. Diverse finalità e diverse valenze. Per non parlare delle consistenze, durevolezze, colori, finezze di grana.
Le cave si trovavano in zona Orelluso, a Piano Campo, al Piano Muto.
Le modalità estrattive avvenivano dal distacco di un blocco dal banco, determinato dall’andamento delle stratificazioni. Si procedeva dapprima ad incidere in superficie con l’aiuto di punta o mazzuolo, una sorta di canaletta di pochi centrimetri e inserendo poi dei cunei di legno, (cugnu)m che venivano banati per aumentare la pressione e riuscire ad aprirlo, sempre con l’aiuto di una mazza. Seguendo le fratture si procedeva lo sfaldamento dello strato.
Tutto un piccolo mondo gira intorno al lavoro della pietra. Cavatori, tagliapietre, scalpellini, con ruoli e specializzazioni diverse, sacrifici e da consuetudini familiari che si tramandano di padre in figlio.
L’azione di estrazione della pietra a cielo aperto e della sbozzatura e rifinitura viene oggi ricordata come un lavoro duro, faticoso e rituale.
Ucria, nel tempo, ha evidenziato sempre una grande artisticità dei suoi figli, attraverso appunto l’abilità degli mastri della pietra. Gli scalpellini, artisti da taglio e della lavorazione della pietra, le cui origini affondano nel passato. Gli scalpellini ucriesi contribuirono un impulso notevole dello sviluppo artistico del paese.
Le opere visibili in Ucria sono la testimonianza principale dei bellissimi portali delle chiese di San Pietro Apostolo, la chiesa Madre, la chiesa di SS. Annunziata, la chiesa della Madonna della Scala e tutte le altre chiese secondarie, in cui è ben visibile la presenza di questa maestranza. Colonne monolitiche, sovrastate da capitelli riccamente decorati, nonché le cornici dei balconi, delle mensole e dei “cagnoli” degli antichi palazzi, come quelli presenti nel palazzo Baratta, in via P. Bernardino.
Nell’ultimo trentennio il cemento armato, l’asfalto e la pietra lavica hanno deturpato completamente quello che erano le nostre strade, rimanendo a noi solo un ricordo fotografico.
Ucria vanta decine di famiglie di scalpellini, mestiere tramandato di padre in figlio, come si fa con un bene prezioso, ma oggi sono quasi del tutto scomparsi, resta il nostro caro marmista Salvatore Vinciullo, anche se col riformarsi della pietra, si nota una ripresa di questa antica attività, grazie all’abilità e alla voglia di ripresa di questo antica mestiere di Nino Rigoli e Salvatore Crisà.
La pietra che lavoravano i nostri scalpellini era la locale pietra arenaria che prelevavano dalle varie cave: Piano Muto, O Casteddu, Piano Campo, Orelluso e tante altri luoghi ove affiorava la pietra.
Dopo aver scelto il blocco arenario, gruppi di scalpellini lavoravano in situ i la pietra, o la trasportavano fino al luogo dove si effettuava la lavorazione vera e propria, trasformandola in vere opere d’arte.
L’abilità stava nelle mani di chi conosceva il proprio mestiere. La mia famiglia, mio nonno, Calogero Matteo Scalisi era uno scalpellino, è tramandò questo mestiere ai figli, ma colui che abilmente lavorava la pietra era mio zio Vincenzino.
Questi lavori in pietra sono manufatti che non solo abbelliscono, classificano e donano bellezza alle antiche casa ma ne determinano l’armonia e la bellezza dell’insieme al nostro territorio ucriese, che ne è testimone.
Oltre ai portali, si realizzavano davanzali, cornici alle finestre, soglie alle porte, gradini, balaustre. Tutto doveva essere di pietra, più o meno pregiata a secondo della disponibilità finanziaria del committente.
Gli attrezzi principali del lavoro erano “la squadra” per definire gli spigoli, per determinare l’angolo retto tra le due facce adiacenti, tutt’una serie di scalpelli perfettamente affilati e di buon materiale acciaioso, mazze e mazzuoli, martello a due teste, il compasso, la livella, la sgorbia, la buggiarda, strumenti che venivano di volta in volta usati, secondo la specificità del lavoro.
Il tutto è semplicemente un lavoro manuale, e, sicuramente, un lavoro di grande vanto.
La graduale sostituzione dell’uomo con le macchine è determinato anche dai macchinari ed è anche determinato dal fatto che non ci sono più uomini con la passione e la volontà di imparare questo mestiere. Ecco perché si considera un lavoro in “via di estinzione”. 
Chissà… forse cambierà qualcosa?! Noi ci crediamo!












Nessun commento:

Posta un commento