LA VALLE DEL TORRENTE NASO
Domenico
Orifici
L’uomo e il suo territorio.
La vallata che, da Floresta, fra
due catene di monti opposti, Il Pizzo Corvo e il Santa Rosalia, in lieve e
costante declivio, si adagia sulla costa del Tirreno, è una delle più belle e
fertili dell’intero territorio nebroideo. Fu il Sinus crio dei romani,
l’insenatura che portava alle fredde cime dei Monti Nebrodi, che, forse, diede
il nome alla città di Ucria (U Crio; U=
urbs = città; crio= freddo = città del freddo) e a Sinagra (Sinus crio =sinus=
insenatura; crio = freddo- insenatura che portava ai luoghi freddi).
Di certo, che i romani conoscessero questi luoghi, c’è che in località Arelluso del comune di
Ucria, nel 1965, fu rinvenuto, nel
corso di scavi della sovrintendenza di Siracusa, a qualche metro di profondità,
un forziere di monete romane del secondo
secolo avanti Cristo, (nota di Carmelo Rigoli in Ucria, Città di Monte
Catello) epoca in cui si combatteva la prima guerra punica nelle acque del
Tirreno, meglio precisato mare di Milazzo. Gli storici riferiscono che in quel
periodo i nostri boschi furono depauperati degli alberi d’alto fusto per
costruire gli scafi col rostro, usati nelle battaglie contro i cartaginesi.
Il torrente in piena avrebbe trasportato i grossi tronchi alla sua foce
dove venivano recuperati. Nel periodo feudale i monaci che operarono nelle
terre di Sinagra, Ucria e Raccuia
indirizzarono gli abitanti a coltivare nocciole, gelso, olive e agrumi e a
costruire mulini nella fiumara di
Ficarra, Sinagra e Ucria, dando un ‘impronta di grande ricchezza a tutta la
vallata.
Di converso furono costruiti
opifici per la lavorazione dei bozzoli del baco da seta, per l’estrazione
dell’olio d’oliva, per la lavorazione della nocciola e degli agrumi, compresa
l’estrazione dell’essenza di limoni, arance e mandarini, con grande impulso
all’occupazione maschile e femminile. Con un privilegio del Re Ruggero I, nel novembre del 1144, si
autorizzavano i monaci del convento del Fico di Raccuia a costruire mulini
nelle fiumara di Sinagra e Ficarra (nota Michele Fasolo- alla ricerca di Focerò
- documento n°16).
Così, da data che non siamo in condizioni di stabilire, il territorio si trasformò una macchina che
produceva ricchezza: lavoro per tutti e frequenza costante dei commercianti
per accaparrarsi i bozzoli del baco da
seta, nocciole, olio e agrumi. A testimoniare questo momento magico sono i
sontuosi palazzi e le chiese, adornati per fino con oro zecchino, fiore
all’occhiello dei nostri paesi. Sui Nebrodi” la produzione della seta è
attestata per la prima volta nel 1050 in un resoconto della Genizza del Cairo
che documenta l’acquisto da parte di un mercante ebreo di partite di seta di Demenna (non ben definito paese dei Nebrodi
e da cui prende il nome la Valdemone)” cfr Salvatore Mangione e Gaetano
Miracula - C’era una volta il baco da seta- Natur Club Sicilia-.cap. 15, pag
26.
Fino agli anni sessanta dai nostri centri abitati, ogni mattina, si
muovevano centinaia e centinaia di operai per la raccolta e la coltivazione delle olive, degli agrumi e delle
nocciole. I commercianti venivano da paesi lontani e si contendevano i
nostri prodotti, pregiati per gusto e qualità. Le lotte sindacali, riavviate
con la fine del fascismo, costrinsero i proprietari ad abbandonare lentamente
la coltivazione della terra, determinando disoccupazione e crisi economica in
tutto il territorio. La cosa fu aggravata da una politica governativa deleteria
che sancì l’abbandono della proprietà ad un ma inesorabile destino.
Nei territori di Sinagra ed Ucria, negli
anni ’80, erano fioriti delle fabbriche manifatturiere che fornivano indumenti
alle più importanti firme nazionali, dando un certo impulso all’economia del
territorio, ma non ebbero fortuna: la concorrenza dei paesi dell’est costrinse
le ditte a chiudere e portarsi i loro opifici in quegli stati dove la
manodopera ha un costo molto inferiore che da noi.
Questo è il quadro con cui il nostro territorio
si presenta al terzo millennio: un quadro disarmante per il futuro della
gioventù che fa intravedere il totale
abbandono dei nostri paesi.
Non ci sono più posti di lavoro dietro a una scrivania: il lavoro bisogna inventarselo e con
serietà portare avanti i progetti. Questo si può. A Sinagra in questa direzione
si sono mossi alcuni giovani che hanno
creato prodotti che sono fiori all’occhiello del territorio: parlo dei
fratelli Borrello che hanno scoperto il suino nero dei Nebrodi e oggi sono
autori di prodotti di eccellenza noti in mezza Europa, della Caleg che fabbrica
pellet, dei fratelli Caprino che lavorano, valorizzano ed esportano le nocciole
dei Nebrodi, dei fratelli Vinci che producono calzature di alta qualità
vestendo anche squadre di calcio come il Camerun e la Corea del Sud, della
falegnameria Russo e, infine dei fratelli Naciti.
Bisogna che il nostro territorio, col suo lussureggiante verde del
nocciolo, dei giardini, dell’argenteo ulivo, dai mille antichi sentieri, dalle
infinite e fresche sorgive, dalla fiumara con limpida e abbondante acqua, si
ponga all’attenzione delle menti creative dei nostri giovani per essere
trasformato in un’oasi di bellezza, di attrazione turistica, di produzioni
eccellenti. Come non immaginare i giovani di Ucria, Raccuia, Sinagra … tutti in
armonia fra loro, protesi a fare del territorio un Eldorado? Sogno il
territorio coltivato in forma del tutto biologico e naturale senza pesticidi,
ormoni vegetali e senza prodotti chimici con marchio riconosciuto: venire gente
d’ogni parte per rifornirsi e commercianti contendersi il prodotto.
Sogno la fiumara ricca di giochi d’acqua, di
laghetti per la pesca sportiva e quant’altro possa essere di attrazione
turistica e con essi ovunque locali di ristoro e di ricettazione.
Invito le
giovani menti di sognare, progettare e realizzare. Giorni fa
ho letto di una vallata nel trentino dove i giovani dei paesi compresi in quel
territorio idearono e realizzarono un progetto che sfrutta l’acqua della vallata per dare energia elettrica a tutto il
comprensorio. Tutti gli abitanti sono forniti di macchine elettriche e per
esse hanno costruito pubblici rifornimenti per le ricariche delle auto e
centrali per il riscaldamento di tutte le case e degli uffici pubblici utilizzando
la legna dei boschi. Hanno inoltre organizzato la coltivazione dei campi con
sistemi all’avanguardia e dato un marchio ai loro prodotti, un vero e proprio
Eldorado.
Certo, le difficoltà affiorano quando si va sul
concreto: i finanziamenti e l’opera di convincimento dei proprietari terrieri a
produrre in modo biologico. Nel primo caso si potrebbero sfruttare i
finanziamenti alle cooperative o società giovanili nei modi previsti dalla
legge e tutti gli altri aiuti a partire dal fotovoltaico e dall’eolico. Nel
secondo serviranno provvedimenti amministrativi. Serve serietà d’intenti e di
conduzione.
La ricchezza del passato, quella che portò
tanto benessere, non cadde come manna dal cielo, ma fu costruita giorno dopo
giorno, sacrificio su sacrificio da giovani meno colti e con meno mezzi a
disposizione.
Chi bene
incomincia è a metà dell’opera.
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