venerdì 15 luglio 2016

LA VALLE DEL TORRENTE NASO - Domenico Orifici

LA VALLE DEL TORRENTE NASO
Domenico Orifici
L’uomo e il suo territorio.
 La vallata che, da Floresta, fra due catene di monti opposti, Il Pizzo Corvo e il Santa Rosalia, in lieve e costante declivio, si adagia sulla costa del Tirreno, è una delle più belle e fertili dell’intero territorio nebroideo. Fu il Sinus crio dei romani, l’insenatura che portava alle fredde cime dei Monti Nebrodi, che, forse, diede il nome alla città di Ucria (U Crio; U= urbs = città; crio= freddo = città del freddo) e a Sinagra (Sinus crio =sinus= insenatura; crio = freddo- insenatura che portava ai luoghi freddi).
Di certo, che i romani conoscessero questi luoghi, c’è che in località Arelluso del comune di Ucria, nel 1965, fu rinvenuto, nel corso di scavi della sovrintendenza di Siracusa, a qualche metro di profondità, un forziere di monete romane del secondo secolo avanti Cristo, (nota di Carmelo Rigoli in Ucria, Città di Monte Catello) epoca in cui si combatteva la prima guerra punica nelle acque del Tirreno, meglio precisato mare di Milazzo. Gli storici riferiscono che in quel periodo i nostri boschi furono depauperati degli alberi d’alto fusto per costruire gli scafi col rostro, usati nelle battaglie contro i cartaginesi.
Il torrente in piena avrebbe trasportato i grossi tronchi alla sua foce dove venivano recuperati. Nel periodo feudale i monaci che operarono nelle terre di Sinagra, Ucria e Raccuia indirizzarono gli abitanti a coltivare nocciole, gelso, olive e agrumi e a costruire mulini nella fiumara di Ficarra, Sinagra e Ucria, dando un ‘impronta di grande ricchezza a tutta la vallata.
Di converso furono costruiti opifici per la lavorazione dei bozzoli del baco da seta, per l’estrazione dell’olio d’oliva, per la lavorazione della nocciola e degli agrumi, compresa l’estrazione dell’essenza di limoni, arance e mandarini, con grande impulso all’occupazione maschile e femminile. Con un privilegio del Re Ruggero I, nel novembre del 1144, si autorizzavano i monaci del convento del Fico di Raccuia a costruire mulini nelle fiumara di Sinagra e Ficarra (nota Michele Fasolo- alla ricerca di Focerò - documento n°16).
Così, da data che non siamo in condizioni di stabilire, il territorio si trasformò una macchina che produceva ricchezza: lavoro per tutti e frequenza costante dei commercianti per accaparrarsi i bozzoli del baco da seta, nocciole, olio e agrumi. A testimoniare questo momento magico sono i sontuosi palazzi e le chiese, adornati per fino con oro zecchino, fiore all’occhiello dei nostri paesi. Sui Nebrodi” la produzione della seta è attestata per la prima volta nel 1050 in un resoconto della Genizza del Cairo che documenta l’acquisto da parte di un mercante ebreo di partite di seta di Demenna (non ben definito paese dei Nebrodi e da cui prende il nome la Valdemone)” cfr Salvatore Mangione e Gaetano Miracula - C’era una volta il baco da seta- Natur Club Sicilia-.cap. 15, pag 26.
Fino agli anni sessanta dai nostri centri abitati, ogni mattina, si muovevano centinaia e centinaia di operai per la raccolta e la coltivazione delle olive, degli agrumi e delle nocciole. I commercianti venivano da paesi lontani e si contendevano i nostri prodotti, pregiati per gusto e qualità. Le lotte sindacali, riavviate con la fine del fascismo, costrinsero i proprietari ad abbandonare lentamente la coltivazione della terra, determinando disoccupazione e crisi economica in tutto il territorio. La cosa fu aggravata da una politica governativa deleteria che sancì l’abbandono della proprietà ad un ma inesorabile destino.
Nei territori di Sinagra ed Ucria, negli anni ’80, erano fioriti delle fabbriche manifatturiere che fornivano indumenti alle più importanti firme nazionali, dando un certo impulso all’economia del territorio, ma non ebbero fortuna: la concorrenza dei paesi dell’est costrinse le ditte a chiudere e portarsi i loro opifici in quegli stati dove la manodopera ha un costo molto inferiore che da noi.
Questo è il quadro con cui il nostro territorio si presenta al terzo millennio: un quadro disarmante per il futuro della gioventù che fa intravedere il totale abbandono dei nostri paesi.
Non ci sono più posti di lavoro dietro a una scrivania: il lavoro bisogna inventarselo e con serietà portare avanti i progetti. Questo si può. A Sinagra in questa direzione si sono mossi alcuni giovani che hanno creato prodotti che sono fiori all’occhiello del territorio: parlo dei fratelli Borrello che hanno scoperto il suino nero dei Nebrodi e oggi sono autori di prodotti di eccellenza noti in mezza Europa, della Caleg che fabbrica pellet, dei fratelli Caprino che lavorano, valorizzano ed esportano le nocciole dei Nebrodi, dei fratelli Vinci che producono calzature di alta qualità vestendo anche squadre di calcio come il Camerun e la Corea del Sud, della falegnameria Russo e, infine dei fratelli Naciti.
Bisogna che il nostro territorio, col suo lussureggiante verde del nocciolo, dei giardini, dell’argenteo ulivo, dai mille antichi sentieri, dalle infinite e fresche sorgive, dalla fiumara con limpida e abbondante acqua, si ponga all’attenzione delle menti creative dei nostri giovani per essere trasformato in un’oasi di bellezza, di attrazione turistica, di produzioni eccellenti. Come non immaginare i giovani di Ucria, Raccuia, Sinagra … tutti in armonia fra loro, protesi a fare del territorio un Eldorado? Sogno il territorio coltivato in forma del tutto biologico e naturale senza pesticidi, ormoni vegetali e senza prodotti chimici con marchio riconosciuto: venire gente d’ogni parte per rifornirsi e commercianti contendersi il prodotto.
Sogno la fiumara ricca di giochi d’acqua, di laghetti per la pesca sportiva e quant’altro possa essere di attrazione turistica e con essi ovunque locali di ristoro e di ricettazione.
Invito le giovani menti di sognare, progettare e realizzare. Giorni fa ho letto di una vallata nel trentino dove i giovani dei paesi compresi in quel territorio idearono e realizzarono un progetto che sfrutta l’acqua della vallata per dare energia elettrica a tutto il comprensorio. Tutti gli abitanti sono forniti di macchine elettriche e per esse hanno costruito pubblici rifornimenti per le ricariche delle auto e centrali per il riscaldamento di tutte le case e degli uffici pubblici utilizzando la legna dei boschi. Hanno inoltre organizzato la coltivazione dei campi con sistemi all’avanguardia e dato un marchio ai loro prodotti, un vero e proprio Eldorado.
Certo, le difficoltà affiorano quando si va sul concreto: i finanziamenti e l’opera di convincimento dei proprietari terrieri a produrre in modo biologico. Nel primo caso si potrebbero sfruttare i finanziamenti alle cooperative o società giovanili nei modi previsti dalla legge e tutti gli altri aiuti a partire dal fotovoltaico e dall’eolico. Nel secondo serviranno provvedimenti amministrativi. Serve serietà d’intenti e di conduzione.
 La ricchezza del passato, quella che portò tanto benessere, non cadde come manna dal cielo, ma fu costruita giorno dopo giorno, sacrificio su sacrificio da giovani meno colti e con meno mezzi a disposizione.

Chi bene incomincia è a metà dell’opera.


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