martedì 14 giugno 2016

MIRACULI SU MISURA di Giuseppe Salpietro

MIRACULI SU MISURA
Giuseppe Salpietro
Da sempre, quasi per un bisogno primordiale, la tentennate fede dell’uomo è stata periodicamente rinvigorita da inspiegabili accadimenti che, nutriti dal mistero che li circonda, hanno esercitato un’efficace forza rigenerativa. Fenomeni apparentemente incomprensibili, che hanno però alimentato come potenti e roventi fiammate, i convincimenti dei credenti rinsaldando i loro rapporti speranzosi verso la chiesa, i suoi dogmi e i Santi.
Senza temere smentite, si può tranquillamente affermare che questo atteggiamento di attesa miracolistica di tanti credenti, ha sovente superato i circoscritti, severi, ambiti della sensatezza, divenendo creduloneria.
Ne fece le spese anche mio padre, quando sul finire degli anni Cinquanta tra i messinesi montò il convincimento che nella vicina località balneare di San Saba, villaggio di pescatori posto tra Messina e Villafranca Tirrena, a valle dell’allora trafficata Strada Statale 113, ad orario prestabilito una giovane donna scorgeva nel bagliore dell’accecante luce del sole le sembianze della Vergine Maria.
Naturalmente, le apparizioni fecero molto scalpore nella vicina città di Messina, dove ebbero inizio, com’era prevedibile, innumerevoli pellegrinaggi di fedeli verso la fin lì tranquilla località tirrenica. Anche mio padre di quelle apparizioni miracolose subì il richiamo. Un giorno, libero da altre incombenze, lasciata mia madre a casa a badare ai figli a quel tempo troppo piccoli per non risultare d’impiccio, datosi appuntamento con un vecchio compagno d’armi che abitava a Castanea*, travalicò le colline che costringono la città di Messina verso il mare e si recò con lui a San Saba.
Imprudente e preso da un’insensata frenesia collettiva, come i tanti altri presenti, oranti e preganti, nel momento d’estasi restò ad osservare il bagliore del sole oltre ogni ragionevole limite di tempo. Immobile, con gli occhi sgranati e fissi puntati verso il cielo alla ricerca di un segnale. Poi, dopo ore, non scorgendo null’altro che l’accecante luce, mesto fece ritorno a casa, sofferente e allucinato al punto che, a sera tarda, dovette fare urgente ricorso alle cure mediche del vicino pronto soccorso dell’Ospedale Piemonte, dove ritrovò, parimenti in cerca di rimedio, parte della folla di curiosi cacciatori di miracoli che, da ogni contrada, s’erano recati come lui in mattinata sull’arenile di San Saba, ma che ora avevano preso d’assalto i due Ospedali cittadini Regina Margherita e Principe di Piemonte.
Seguirono alcuni giorni trascorsi nel buio più pesto tra bendaggi e copiose somministrazioni di colliri. Diceva anche da anziano, che la sua vista non fosse tornata mai più come prima, ma leggendo i fatti da un’altra prospettiva, è certo che non restò cieco per un vero miracolo.
Qualche decennio dopo, nell’anno 1966 nel Comune di Raccuja, posto nell’entroterra messinese tra vallate disseminate di noccioleti, in quello che fu un tempo il borgo fondato dal Conte Ruggero D’Altavilla proprio nei pressi dell’abbazia basiliana di San Nicolò del Fico, con modalità diverse, il fenomeno ebbe la sua immancabile replica. In questa circostanza però, senza patimento alcuno, ne feriti.
Nella rinascimentale Chiesa di Santa Maria, caratterizzata come per gran parte delle chiese nebroidee, da uno splendido e logoro prospetto in pietra arenaria un tempo abilmente plasmata da maestranze locali, tra le numerose opere d’arte, nella cappella di destra dell’altare maggiore era, ed è ancora oggi esposta al culto, il pregevole gruppo scultoreo dell’Annunciazione. L’angelo Gabriele e la Madonna, commissionati da don Bernardo Lanza di Raccuja a Giambattista Mazzolo nei primi decenni del XVI secolo, sono entrambi in marmo di Carrara.
Era il 12 giugno 1967 e com’era avvenuto anni prima a San Saba, anche a Raccuja una pia donna non sicuramente in mala fede, si convinse che per qualche istante si fossero mosse le pupille del freddo manufatto marmoreo cinquecentesco che rappresenta la venerata immagine sacra.
Al fremito della donna – le cronache riferiscono che si trattava della sig.ra Grazia Bertilone che era in chiesa intenta a pregare con il nipote Filippo -, accompagnato da un’immancabile mancamento, seguirono immediate, al grido di Viva Maria, le implorazioni e le interminabili preghiere di tanti. Poi, in un batti baleno, la notizia più che certa del miracolo della Madonna di Raccuja si diffuse in mezza Italia. Questo ovviamente, perché al tempo il fenomeno oggi planetario dei social network era inimmaginabile e l’unico computer, grande quanto una palazzina, era utilizzato dalla NASA che stava organizzandosi per lo sbarco sulla Luna. Se fosse avvenuto oggi, ‘nta ‘na vutata d’occhi le foto dell’evento le avrebbero i marziani. In compenso, considerata l’arsura di informazioni, la Gazzetta del Sud dovette rimpinguare le scorte di carta per giornali e inchiostro per le rotative.
Il giorno dopo, infatti,  le principali testate giornalistiche specie siciliane, titolavano a tutta pagina la notizia dello straordinario evento che finalmente, per fortuna o per vero “miraculo”, era toccato al piccolo paese nebroideo che, alla stessa stregua di Lourdes, San Giovanni Rotondo e Fatima*, poteva ambire a rivestire un ruolo centrale nel business del turismo religioso. D'altronde, a poco distanza, Tindari e Siracusa stavano facendo scuola, attraendo con la loro potente carica emotiva e religiosa milioni di credenti, che in quei luoghi accorrevano per affidare le loro speranze ed i loro affanni, muovendo nel contempo inconsapevolmente, al grido di Viva Maria, appetibili risorse economiche.
I venditori di calia tostata, cannella, palloncini e caramelle già guadagnavano le loro precarie e colorate postazioni nelle strette vie del paese, contemporaneamente all’arrivo di numerosi pullman carichi di devoti disposti ad investire cospicue somme in ceri votivi, immaginette e rosari, coltivando in cuor loro la speranza di potere assistere al prossimo “miraculu”, “a’ prossima vutatina ‘i l’occhi”.
L’isteria collettiva nei paesani era montata a tal punto, che alcuni individui arrivarono a minacciare gli scettici e, spero sia falso, una bidella arrivò a fare ingerire detersivo a qualche componente della fazione avversa al solo scopo di procurare liquidi fastidi gastrici.
U sulu fumu di cannili, accese in quantità industriale, si vidia d’Ucria, paese che dista da Raccuja solo nove chilometri e che, proprio in ragione di questa vicinanza relativa, agevolava la periodica partenza di partecipate processioni, rigorosamente a piedi, verso l’ambita ed inattesa destinazione di fede mariana.
Anche Ucria possedeva un pregevole gruppo scultorio simile raffigurante la Santissima Annunziata, opera in marmo bianco attribuita ai discepoli del famoso artista palermitano Gaggini, ma purtroppo queste statue restarono immobili. Assolutamente pietrificate. 
Sono certo di avere sentito con le mie orecchie al tempo, insinuarsi con insistenza il sospetto che le statue dei due paesi, molto simili nelle fattezze e riconducibili allo stesso periodo, ma di dimensioni diverse, fossero state scambiate per errore nel tragitto verso la destinazione finale in prossimità di Patti. Circostanza che avrebbe costituito presupposto per una rivendicazione già annunciata, ma ben tardiva e senza speranze, della scultura che si riteneva originariamente destinata al vicino paese di Ucria.
Le ambizioni turistico-religione si spensero poi nel volgere di qualche settimana, trascinando via definitivamente dal paese il “circo” con tutti i suoi acrobati, che lì stavano impiantando la loro complessa scenografia.
Nessuno, grazie a Dio e per “miraculu”, rivendicò mai la proprietà della statua, richiedendone a distanza di secoli lo scambio.
Pare sia sparito anche l’Arciprete, il discusso reverendo Piscitello negli anni successivi incardinato nella diocesi di Latina che, a dire dei tanti maligni, favoriva da navigato regista la realizzazione del fragile impalcato di carta pesta. Il suo conflitto con l’allora Arcivescovo di Patti mons. Giuseppe Pullano* restò insanabile, anche a causa dell’interesse di quest’ultimo a non distogliere l’attenzione dei fedeli dal Santuario della Madonna nera di Tindari*, già in costruzione avanzata, considerato che la prima pietra di questo - proveniente addirittura dalle antichità greco-romane e benedetta da Papa Pio XII il 30 dicembre 1956 - era stata posta nel sito ben dieci anni prima l’8 dicembre 1957.
Al sacerdote Piscitello subentrò padre Tuccio che, a quanto pare, fu accolto tanto malamente al suo ingresso in paese. Senza alcun riguardo, il disappunto dei raccuiesi verso la sostituzione autoritaria della guida spirituale, non lo risparmiò dallo sbeffeggiamento manifestato senza ritegno con il frastuono prodotto dal suono chiassoso di pentole, coperchi e mestoli dei paesani accorsi ad accoglierlo al grido di “tornatene dal tuo Vescovo”
Tutto poi è tornato come prima. Entrambe le comunità, sono profondamente e visceralmente legate al proprio simulacro che difenderanno, ameranno e venereranno fino alla fine dei loro giorni terreni.
Resta solo il ricordo polveroso ed ingiallito di un momento passeggero d’isteria collettiva che ammonisce sul fascino esercitato dalla notorietà di un accadimento.
Il miraculo? Per un pelo, e solo per un pelo, non finiu a dichiarazione di guerra fra i due paesi, con rispettivi scambi di colpi di mortaio esplosi da Monte Castello da parte ucriese, e dal Castello normanno Branciforti da parte dei raccuiesi.


· Castanea delle Furie villaggio ubicato sui Colli San Rizzo a circa quattrocento metri s.l.m.
· Sono solo quindici, su un numero di alcune migliaia, le apparizioni che hanno avuto nei secoli scorsi un riconoscimento ufficiale da parte della Chiesa: Laus (Francia) 1664-1718, Benôite Rencurel; Roma 1842, Alfonso Ratisbonne; La Salette (Francia) 1846, Massimino Giraud e Melania Calvat; Lourdes (Francia) 1858, Bernadette Soubirous; Champion (Usa) 1859, Adele Brise; Pontmain (Francia) 1871, Eugène e Joseph Barbedette, François Richer e Jeanne Lebossé; Gietrzwald (Polonia) 1877, Justine Szafrynska e Barbara Samulowska; Knock (Irlanda) 1879, Margaret Beirne e diverse persone; Fatima (Portogallo) 1917, Lucia Dos Santos, Francesco e Giacinta Marto; Beauraing (Belgio) 1932, Fernande, Gilberte e Albert Voisin, Andrée e Gilberte Degeimbre; Banneux (Belgio) 1933, Mariette Béco; Amsterdam (Olanda) 1945-1959, Ida Peerdemann; Akita (Giappone) 1973-1981, Agnes Sasagawa; Betania (Venezuela) 1976-1988, Maria Esperanza Medano; Kibeho (Ruanda) 1981-1986, Alphonsine Mumereke, Nathalie Ukamazimpaka e Marie-Claire Mukangango.
· Giuseppe Pullano - nasce a Pentone in provincia di Catanzaro l'11 luglio 1907. Viene ordinato sacerdote il 3 agosto 1930. Rettore del seminario di Squillace e successivamente arciprete di Gimigliano, il 22 aprile 1953 è nominato vescovo titolare di Uzali e, contemporaneamente, vescovo coadiutore sedi datus di Patti. La sua vicenda, a seguito della nomina, s'intreccia con quella del vescovo effettivo Angelo Ficarra, inutilmente sollecitato alle dimissioni dalla Congregazione Concistoriale, perché accusato di scarso impegno durante le elezioni amministrative e politiche degli anni 1946-1948. Non decidendosi il Ficarra a dimettersi, Roma intervenne ancor più pesantemente, nominando nel 1955 Pullano amministratore apostolico sede plena. Con la prima formula si dichiarava, col linguaggio tipico della Curia, che il coadiutore era assegnato direttamente alla sede (sedi datus) in quanto il vescovo effettivo non era in grado di amministrarla; con la seconda formula, il Pullano prendeva in mano la direzione della diocesi, nonostante ci fosse un suo responsabile (sede plena), e l'amministrava direttamente a nome del Papa. Neppure questa volta però mons. Ficarra, ritenne di doversi dimettere e accettò l'umiliazione di convivere, esautorato, con un altro vescovo. Il 2 agosto 1957 mons. Pullano fu nominato vescovo diocesano e mons. Ficarra apprese la notizia solo dalla stampa. L'episcopato di mons. Pullano, molto problematico all'inizio per le vicende su accennate, si distinse in seguito per un grande impegno nella riorganizzazione della diocesi, soprattutto per quanto concerne le strutture: il Seminario di Patti interamente restaurato, il seminario estivo di Castell'Umberto costruito ex novo, il palazzo vescovile ex novo dopo il crollo del vecchio, il Santuario di Tindari, nuovo e moderno. Tra il 1962 e il 1965 mons. Pullano partecipa a tutte le sessioni del Concilio Vaticano II. Ha concluso la sua vita il 30 novembre 1977 a Sant'Elia di Catanzaro. È sepolto nel Santuario di Tindari.
· Madonna nera Tindari - secondo la tradizione, una nave di ritorno dall'Oriente, tra le altre cose, portava nascosta nella stiva una immagine della Madonna perché fosse sottratta alla persecuzione iconoclasta. Mentre la nave solcava le acque del Tirreno, improvvisamente si levò una tempesta e perciò essa fu costretta ad interrompere il viaggio ed a rifugiarsi nella baia del Tindari.








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