martedì 14 giugno 2016

LA VILLEGGIATURA di Luigi Pinzone

LA VILLEGGIATURA
Luigi Pinzone
Gli anni sessanta vengono ricordati con nostalgia come quelli del miracolo economico. C'era una gran voglia di fare e di spendere, chiaramente nei limiti delle proprie possibilità, e soprattutto a rate. Con la testa infarcita di tutte le pubblicità che la Radio di Stato ci propinava, ognuno cercava di fare le cose che prima non poteva fare per mancanza di soldi.        Ma di soldi ce n'erano ancora pochi. Fu così che gli ucriesi, non potendosi ancora permettere i villaggi turistici e gli alberghi, le spiagge esotiche, per il vero neanche quelle locali, si ritiravano in villeggiatura in campagna nel periodo estivo. Ed era l'occasione per raccogliere quel po' di nocciole che la terra offriva e la cui vendita avrebbe consentito se non altro di pagare almeno l'imposta fondiaria, e per rilassarsi un mesetto. Quella che vi voglio raccontare è la mia esperienza nell'eremo di Pracudda in un'estate di fine anni cinquanta.
Tenuto conto che la mia famiglia era composta da cinque persone, papà, mamma, Nino, io e Marcello e scartato fin da subito Nino che non riusciva a dormire a causa del  canto dei grilli e delle rane, e che quindi villeggiava solo di giorno posto che la sera tornava a dormire al paese, restavamo in quattro. Le prime fatiche riguardavano il trasloco delle brande e dei materassi in campagna, che, essendo pesantissimi per noi ragazzini, abbisognarono di un trasporto sull'autobus della linea Ucria/Patti. La nostra meta era raggiungibile o attraverso la Via Margherita, o attraverso la strada provinciale per Patti, non ancora asfaltata, ma bellissima con le siepi di rosmarino che fungevano da guard rail. Una piccola digressione. Le passeggiate che facevamo a quei tempi nel paese si limitavano 'nfinu unni 'llesti 'u 'mpiciatu (1) vale a dire dal quartiere Santa Caterina fino alla bottega di “Capuni” sulla provinciale per Patti o, preferibilmente, fino alla località Vasili sulla Statale 116. E quindi si cominciava la vita estiva, di giorno si lavorava (i grandi) o si giocava e si raccoglievano i frutti estivi e quindi a giugno i gelsi bianchi e le ciliegie, a luglio ed agosto i fichi, prima mano, duttati, burgisi, servaggioli, l'uva, le prugne, le smergie (tipiche pesche bianche piccole e dolcissime), le pere.
  La sera ci si riuniva attorno a dei runci (2) accesi per allontanare i muschigghiuna (3) assieme ai vicini di villeggiatura, la famiglia dello zio Pietro Lembo con due o tre figli stantechè i grandi erano ormai fuori da Ucria. Si stava a raccontare delle cose fino a quando i piccoli non cadevano addormentati, altro che sonniferi. E si interloquiva anche (si immagini con quali urla), con i parenti che erano ritirati a Bèlino, la famiglia della cugina-zia Ciccina Paladina  e più difficilmente con la famiglia della zia Marianna Algeri, anche lei a Bèlino ma in un sito più distante. Uno dei profumi che ricordo con più piacere era quello dei peperoni arrostiti dallo zio Pietro sulla sua fornacella. Di giorno noi bambini facevamo esperimenti, del tipo fumare dei cannoni di foglie di nocciolo tritate e avvolte nella carta della Gazzetta del Sud o del tipo aggiungere lo zucchero nella birra Messina nel tentativo di renderla più dolce.          
Un'esperienza atroce ma utilissima, stantechè per gran tempo mi ha fatto star lontano dalle sigarette. Si facevano delle esplorazioni nel fiume e qualche bagno in qualche gurno (4) (ma questo di nascosto dai genitori). La mattina i miei mi mandavano in Paese a fare la spesa e risalivo a piedi la Via Margherita che ho sempre davanti agli occhi. E sistematicamente a Kàllina incontravo don Nino Paolo, che raggiungeva la sua roba e Albicocco che pascolava la sua capretta e nella casa accanto alla Villa Fiorino la radio sempre accesa con le musiche di quelle bellissime orchestre americane che diffondevano promesse di felicità. In paese facevo la spesa, comperavo qualche giornaletto, andavo a trovare nonna Francesca che sistematicamente mi dava da bere un uovo  fresco con un goccio di Vermuth o di Marsala, e poi tornavo in campagna, a ricominciare i giochi. Erano giochi anche quello di salire sugli alberi, ricordo un gelso su cui avevamo fatto una specie di alloggio (più un sedile che una capanna). E ricordo anche che qualcheduna delle galline della zia Domenica faceva le uova dove capitava e quindi con Aldo dovevamo fare il giro della campagna per scoprire il sito giusto.
Per la festa di Ferragosto ci si riuniva con gli zii di Messina o i cugini di Roma per fare di quelle mangiate epiche che ancora si ricordano e si raccontano.
E poi, così come era iniziata, arrivava la fine della villeggiatura. Negli ultimi giorni, quando ormai la raccolta delle nocciole era terminata, si lasciavano i resti ai ragazzi che avevamo diritto di monetizzare le nocciole che riuscivamo a raccogliere per l'acquisto di qualche giocattolo o di qualche giornaletto. Questo si chiamava biscùgghiu o spùlica.
Ricordo ancora quando andavo a vendere il mio raccolto a don Cesare nella su bottega nel quartiere Famigghia (5) o nel Piano Forno. Così si poteva affrontare la festa del 14 di Settembre con qualche soldino in tasca. Ci si acquistava dei giocattoli rudimentali, del tipo macchinine di latta con la corda a molla, o pistole a caps o a nastro per i maschietti, o cucinine per bambole per le femminucce. Ed il momento esatto della fine della villeggiatura era la sera del 14 settembre quando i fuochi d'artificio culminavano con la ruota pazza, una girandola di giochi pirici sita tra il quartiere Vasile e la curva del Mulino, che noi ragazzini guardavamo a bocca aperta, per la meraviglia ed il godimento, dal belvedere di Piazza Rimembranza.
Così assieme all'estate finiva anche la nostra giovinezza.

POSTFAZIONE
Dedico questo racconto al ricordo dei miei genitori, sempre vivi nella mia mente e nel mio cuore, ai miei fratelli, Marcello e Nino, che mi ha suggerito di scriverne.
Ringrazio anche tutti gli amici e i lettori che avranno la pazienza di leggermi
Carpi di Modena, lì 03.06.2016
LUIGI PINZONE
NOTE
1) Fino a dove finisce il tratto asfaltato.
2) Erbacce secche
3) Moscerini
4) Tratto di fiume che consentiva il bagno per la quantità abbondante di acqua, sorta di piscina naturale.

5) Famiglia.

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