giovedì 14 aprile 2016

IL TERREMOTO DEL 1978 * Giuseppe Salpietro *

IL TERREMOTO DEL 1978
* Giuseppe Salpietro *
            In generale tutte le disgrazie umane hanno da sempre comportato, ma solo per alcuni, successivi sviluppi positivi. Anche i funerali fanno girare l’economia, tanto da destare a tanti preoccupazioni ed ansie che finiscono per … favorire.
            Caso a parte, ma non tanto, è quello della categoria di rapaci approfittatori, degli avvoltoi ed a proposito dovremmo ancora nitidamente ricordare le frasi dell'imprenditore, poi arrestato per lo scandalo degli appalti facili legati alla Protezione Civile, noto alle cronache per l'intercettazione nella quale rivelava al telefono, di aver riso di fronte alla notizia del sisma dell'Aquila, immaginando già che con la catastrofe potesse crescere la possibilità di concludere nuovi e smisurati affari sulla ricostruzione:
            "io ridevo stammatina alle tre e mezza".
            E' una medaglia dalla doppia faccia: cianci unu, pì ridiri nautru.
            Situazione simile, anche se con toni meno esasperati, immagino sia accaduta a seguito del forte terremoto del 15 aprile 1978, quando a tremare fu soprattutto il Golfo di Patti epicentro di un sisma di magnitudo 6,1 Richter. La scossa provocò dei danni nel messinese tirrenico, ma non ci furono vittime.
            Anche ad Ucria, in quel frangente, probabilmente si sdirrupò o lineò qualche catapecchia, si cutulò qualche solaio già traballante e precario, ma nel complesso la situazione non determinò problematiche rilevanti come nel pattese, né destò particolari preoccupazioni.
            Indipendentemente dai danni effettivamente patiti si avviò comunque, tra luci ed ombre, un lungo periodo di ricostruzione che modificò radicalmente gli assetti estetici dei tessuti urbani di gran parte dei Paesi dei Nebrodi circonvicini a Patti.
            L'economia legata all'edilizia, a dire il vero, crebbe molto. In ogni dove, incentivati dal facile accesso a forme contributive a sostegno della ricostruzione che consentivano di recuperare quasi totalmente i costi, si smantellavano le vecchie abitazioni gettando, ad ogni piè sospinto, pilastri in cemento armato e solette. I paisi divennero grandi cantieri a cielo aperto con muletti a motore che rombavano in contrapennina per carriare, in ogni dove, malta cementizia appena impastata ed altro materiale edile.
            Minch .. ch’era bello, so per certo che qualcuno presentò progetti per una cubatura quasi doppia rispetto a quella reale, d'altronde in Sicilia siamo, e data la scarsità, ci dobbiamo arrangiare.
            Il lavoro non mancò per tanti e questo era sicuramente un aspetto positivo, ma come spesso accade, nessuno si occupava di misurare i guasti, la sola frenesia del nuovo a basso prezzo ubriacava, ammorbava l'aria.
            Scomparvero, infatti, non considerati come elementi di pregio architettonico o elementi irripetibili riferibili a maestranze locali: stipiti, portali in pietra locale, mensole di balconi, portoni d'ingresso, ringhiere, chiavi di volta, pietrame riutilizzabile e quant'altro aveva sapore di vecchio.
            Mentre in altre regioni, come l'Umbria e la Toscana, si costruivano le fortune turistiche dei luoghi sull'appeal emanato dalla storicità e riconoscibilità dei luoghi e dei borghi, quì il concetto ancora non passava la stretta cruna dell'ago della ragionevolezza.
            Usciti dalla miseria, insensatamente, si distruggeva solo perché il nuovo veniva avvertito come bello e moderno. Atteggiamento scellerato che negli anni sessanta in Italia ha interessato anche il mobilio, dato per certo che vecchi mobili  in legno massello venivano con sistematicità sostituiti con più moderni elementi in ottimo, pregiato, truciolato.
            C'è un modo e ci sarebbe stato anche allora più ragionato. Più consono, più rispettoso.
            Non bagghiulati di cemento a tinchitè per fare inutili casermoni oggi disabitati e prossimi alla rovina per incuria e disinteresse, ma puntando alla salvaguardia ed al rispetto degli elementi decorativi caratterizzanti. Ahinoi, maliditti i picciuli e pure l'ignoranza, non fu così, tanto cappiddazzu pagava tutto.. .
            Anche sui Nebrodi, in sostanza, il terremoto si ripetette due volte come era accaduto nel 1908 per Messina.
            In quel caso il generale Francesco Mazza cui si può accostare il detto popolare “non capisce una mazza”, nominato Comandante della Unità di coordinamento dei soccorsi qualche giorno dopo il terremoto, si rivelò ben presto gravemente inadatto al suo ruolo. Sembra incredibile ma, invece di adoperarsi per le sorti dei suoi simili, si interessava piuttosto ai menù di bordo ed arrivò al punto di ordinare che ben due pasticceri accorressero al suo servizio, uno da Napoli e l'altro da Palermo. La sua comfortevolissima nave Duca di Genoa, attraccata proprio di fronte ai luoghi della tragedia, era divenuta un mondano quartier generale dove ogni sera si tenevano feste per gli alti ranghi militari e civili. Insomma, un ottuso militare incaricato da Vittorio Emanuele III°, che cannoneggiò ogni palazzo o chiesa rimasti indenni dal sisma, radendo al suolo anche l'identità e la voglia di riconoscersi di un popolo.




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