lunedì 15 febbraio 2016

LA FARINATA DDU PUZZU - L’ORO DI UCRIA * Silvia Nici *

LA FARINATA DDU PUZZU
L’ORO DI UCRIA
* Silvia Nici *
Parlare di farinata ad Ucria è quasi come parlare di cassata per la Sicilia.
Gusto particolare, caratteristico, o piace o non piace, non ci sono vie di mezzo, penso che puoi apprezzarne davvero il gusto solo se sei ucriese, non mi spiego perché, come se fosse una cosa solo nostra, infatti viene difficilmente apprezzata da chi non la conosce.
Da piccola non riesci neanche ad immaginare il grande lavoro che ci sta dietro, la farinata ti ricorda “solo” la stufa a legna dalla nonna, qualche pezzettino messo a riscaldare lì sopra, noci e nocciole tostate.
A prima vista sembra impossibile immaginare che gli ingredienti siano solo due, due soltanto e l’aggiunta di un pizzico di cannella, a piacere. Questi due ingredienti sono i fichi d’india e la farina, ricetta semplicissima banale che racchiude il lavoro di una giornata intera.
Nonostante la fatica che nasconde quest’apparente caramella gommosa, farla, rappresenta sempre un momento di unione e di gioia.


Una volta la farinata richiamava intere famiglie, vicini di casa e amici, che si riunivano nella campagna più grande, nel mese di settembre per collaborare alla creazione dell’unico dolce che ci si poteva permettere. Il motivo principale di tanto lavoro era smaltire i fichi d’india che invadono le nostre campagne.
Il giorno prima del procedimento in sé si raccolgono i fichi d’india, il giorno dopo con l’aiuto di una scopa si eliminano le spine. Si, le spine, a migliaia, tornerai a casa ricoperta, ma c’è poco da fare, come dice la nonna: “piojinun c’ha fari casu”.
Una volta sbucciati, si schiacciano con le mani e si mettono nel calderone, in siciliano “u lavizzu”, e quindi sul fuoco per farli diminuire di volume, per più di un’ora.
Sceso dal fuoco ancora caldo, il liquido ottenuto, si passa a setaccio, per eliminare tutti i semi del frutto, ed è questo il momento più bello della farinata, tutti seduti, preferibilmente su “cippi” o “fillizzi” ognuno con il proprio passatutto migliore, portato da casa, a lavorare per ottenere minor scarto possibile e un succo denso e pulito; quest’ultimo adesso si misura e per ogni litro ottenuto si aggiungono 100 gr (poco più) di farina, il tutto si passa nuovamente a setaccio per eliminare grumi che potrebbero crearsi.
Si rimette tutto il composto nuovamente sul fuoco, per almeno un’altra ora girando continuamente, per far si che non si attacchi alle pareti del lavizzu.
Adesso la farinata può essere messa nei piatti, questi devono essere bagnati singolarmente per far si che una volta che il contenuto si solidifichi leggermente, può essere capovolto facilmente. A caldo possono essere aggiunte anche nocciole tostate.
I più piccoli e i più golosi potranno andare a mangiare le rimanenze del lavizzu.
Il lavoro continua successivamente perché per essere conservata anche più di un anno, la farinata fresca deve essere asciugata al sole accuratamente e evitare si ammuffisca. Più è asciutta, più formerà il tartaro al di sopra che le dà un sapore migliore.
La farinata rappresenta un momento di gioia e, per me, racchiude la forza dei miei nonni che nonostante l’età, si impegnano ogni anno per mantenere la tradizione.
Una delle tradizioni più belle del nostro paese, della mia famiglia.

Tutta la procedura per fare la farinata la troverete nel video allegato all’articolo sul nostro social youtube.












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